Chiodo a quattro punte
Arma largamente usata dai partigiani durante l’occupazione per bloccare gli automezzi tedeschi. Si costruiva utilizzando due chiodi o tondini di ferro a cui venivano fatte le punte, venivano piegati a L e saldati insieme. Lanciati a terra avevano sempre una punta rivolta in alto. Vennero usati dai partigiani soprattutto sulle vie consolari della città, per bloccare il passaggio degli automezzi tedeschi. I chiodi a quattro punte erano molto odiati dai tedeschi e quindi molto popolari tra i romani. Tra i ragazzini delle borgate era diffusa una filastrocca: «Quante punte, quante punte, / Quante punte ha questo chiodo? / Una punta per me, una punta per te, / quattro punte per lui!»
Il chiodo fotografato apparteneva a Rosario Bentivegna, uno dei più famosi partigiani di Roma.
10 settembre 1943 ore 18,00 – Porta San Paolo
Iniziano i combattimenti tra tedeschi ed Esercito italiano per la presa di Roma. I tedeschi cercano di entrare in città da sud-ovest attaccando il Caposaldo n. 5. Il primo colpo di arma da fuoco viene sparato la sera dell’8 settembre poche ore dopo l’annuncio dell’armistizio firmato da Badoglio. La mattina il Re era fuggito da Roma lasciando l’Esercito senza ordini.
La battaglia di Porta San Paolo è l’ultimo tentativo di difendere la città dall’occupazione nazista. Accanto ai soldati italiani combattono molti civili, da qui l’importanza di questo evento che segna l’inizio della resistenza a Roma. Tra le molte persone che combattono c’è anche Raffaele Persichetti, insegnante molto amato e partigiano, colpito a morte proprio nel punto in cui è stata scattata la fotografia.
7 ottobre 1943 – Caserma Carabinieri, via Carlo Alberto Dalla Chiesa
In una piovosa mattina del 7 ottobre, dopo l’ordine diramato da Graziani, ministro della difesa del rinato regime fascista, che dichiara illegale il corpo dei Carabinieri, i tedeschi fanno irruzione in tutte le caserme di Roma arrestando oltre 2500 carabinieri. Gli occupanti non volevano la presenza in città di un corpo militare tanto numeroso e che aveva giurato fedeltà al Re. Questa fu quindi una delle prime azioni intraprese dagli occupanti per avere maggior controllo della città e libertà di operazione. Quasi tutti gli arrestati vennero deportati in campi di concentramento e di lavoro in Germania. Altri 6000 carabinieri si diedero alla macchia e molti confluirono in formazioni partigiane, principalmente nel Fronte militare clandestino.
6 ottobre 1943 ore 05,30 – Portico d’Ottavia. La deportazione del Ghetto
All’alba di Sabato 16 Ottobre (ricordato come il Sabato Nero), alle 5.30, inizia in tutta la città la caccia agli ebrei romani. Il rastrellamento è effettuato da uno speciale reparto delle SS al comando del Capitano Donneker. L’epicentro dell’operazione è l’antico quartiere ebraico. I tedeschi chiudono le strade del Ghetto, entrano nelle case e arrestano tutti gli abitanti. Gli arrestati vengono raccolti in uno spiazzo davanti al Portico d’Ottavia, dove vengono caricati su camion grigi coperti da teloni. L’operazione dura ore e si conclude alle 14.00 con la cattura di 1024 persone, tra cui 207 bambini. Due giorni dopo, vengono caricati su un treno composto da 18 vagoni piombati e deportati ad Auschwitz. Da lì tornarono soltanto 16 persone, nessuno dei bambini.
25 Ottobre 1943 – Sezione aerea di San Gioacchino
Su iniziativa del parroco Padre Antonio Dressino e dell’ingegnere Pietro Lestini, 17 persone tra ebrei, militari sbandati e ricercati politici trovano rifugio in uno stanzone tra la volta e il tetto della chiesa di San Gioacchino, nel quartiere Prati. Per evitare di essere individuati dai tedeschi, che perquisiscono anche gli istituti religiosi, il 3 novembre vengono murati nel rifugio. Rimarranno lì chiusi fino alla liberazione di Roma a giugno, unico contatto con il mondo esterno sarà una botola ricavata nel rosone della chiesa per rifornirli di cibo e per recapitare lettere. Nacque così la “Sezione aerea di San Gioacchino” (S.A.S.G.) che salvò la vita ai 17 rifugiati e che valse agli organizzatori il titolo di “Giusti tra le Nazioni” dello Yad Vashem.
1 dicembre 1943 – Forte Bravetta. La beffa di Tommaso Moro
Forte Bravetta è il luogo in cui vengono eseguite tutte le condanne a morte per fucilazione dei partigiani arrestati durante i mesi di occupazione nazista. Alle primissime ore del 1 dicembre 1943, il leggendario partigiano Tommaso Moro (Vincenzo Guarniera) con i suoi uomini della banda comunista Bandiera Rossa assalta un autocarro della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) che trasporta il plotone d’esecuzione inviato a Forte Bravetta per eseguire la condanna a morte di sette partigiani. Indossate le uniformi dei militi fascisti, Guarniera e i componenti della sua formazione entrano nel forte, si fanno riconoscere come il plotone atteso per la fucilazione e si schierano per eseguire la sentenza, ma al momento di sparare fanno fuoco sul corpo di guardia del Forte e sugli ufficiali tedeschi presenti. Annientano il presidio e liberano i partigiani destinati alla fucilazione, riuscendo a fuggire. “Forte Bravetta, il mattatoio di patriotti, è violato; la Resistenza romana ha aggiunto un’altra sanguinosa beffa ai nazifascisti”.
20 dicembre 1943 – Valle dell’Inferno e Vittorio Mallozzi
Tra le borgate ribelli e antifasciste di Roma si distingue durante l’occupazione nazista la Valle Aurelia, nota come Valle dell’Inferno, abitata dai “fornaciari”, operai delle fornaci che producono i mattoni per le costruzioni della capitale. Si sviluppa lì una comunità di persone legate dal duro lavoro, tanto da venire citata come modello da Lenin che la definì una “Piccola Russia”. Tra questi lavoratori ci furono tanti protagonisti della resistenza armata, tra cui Cencio Baldazzi, storico antifascista, uno dei fondatori e capi militari del gruppo partigiano “Giustizia e Libertà”. Altro personaggio di spicco è Vittorio Mallozzi, fornaciaio egli stesso ed ex combattente nella guerra civile spagnola. Comandante di zona del PCI, portò a termine numerose, audaci azioni contro gli occupanti finché cadde nelle mani dei tedeschi il 20 dicembre 1943. Dopo un mese di torture venne fucilato il 31 gennaio 1944 a Forte Bravetta insieme ad altri 9 partigiani. Verrà insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
28 dicembre 1943 ore 11,50 – Via della Lungara. Mario Fiorentini attacca Regina Coeli
Il partigiano dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) Mario Fiorentini lancia uno spezzone in via della Lungara, davanti all’ingresso di Regina Coeli, mentre 28 tedeschi stanno effettuando il cambio della guardia. Arriva sul posto in bicicletta, con un un tubo di ferro riempito di esplosivo che poco prima ha ricevuto da Carla Capponi (di copertura con Lucia Ottobrini, Franco di Lernia e Rosario Bentivegna). Posa la bicicletta, si avvicina al muro che delimita il Lungotevere dalla strada antistante la facciata del carcere, lancia. Otto tedeschi muoiono per la deflagrazione, altri restano feriti. Dalle finestre lo hanno individuato e sparano mentre risale in bicicletta e si lancia per ponte Mazzini. Riesce fortunosamente a salvarsi infilandosi per i vicoli del centro. L’azione voleva essere un messaggio per i compagni rinchiusi nel carcere ma arriva forte anche ai tedeschi, che il giorno successivo vietano l’uso della bicicletta ai civili in tutta la città.
3 gennaio 1944 – Pensione Oltremare. La banda Koch
Il 3 gennaio 1944 il tenente Pietro Koch, con una decina di componenti della polizia speciale fascista, si stabilisce nei tre appartamenti che compongono la Pensione Oltremare, al quinto piano di una palazzina nelle vicinanze della stazione Termini, in via Principe Amedeo 2. Da gennaio ad aprile sarà questa la sede della banda, che ne fa una prigione e un luogo di tortura tra i più terribili della storia cittadina. Grazie alla brutalità dei mezzi usati, alle efferate torture e a una larga rete di informatori, la banda Koch riuscì a decimare le file degli antifascisti romani. Nei locali di questa prigione, che fu un vero e proprio luogo di terrore, ha sede oggi Radio Radicale e nella vecchia camera dove avvenivano gli interrogatori si trova ora una sala registrazioni.
31 gennaio 1944 ore 11,00 – via Milano angolo via Nazionale. Rastrellamento Alle 11 di mattina inizia una vasta operazione di rastrellamento organizzata da Kappler. Reparti di SS e militari tedeschi, aiutati da un battaglione fascista, chiudono una vasta zona attorno a via Nazionale, piazza Indipendenza e la stazione Termini. Blindati e mitragliatrici vengono piazzati ai varchi dell’area, in diverse traverse tra cui via Milano. In poco meno di due ore i tedeschi rastrellanno 2000 cittadini, li caricano sui camion e li portano alla caserma Macao di Castro Pretorio. Dopo varie selezioni circa 800 uomini vengono mandati nei campi di lavoro in Germania, ad Hannover, o a costruire fortificazioni sul fronte di Anzio. Ci saranno molti rastrellamenti in tutta la città e per tutto il periodo dell’occupazione da parte dei tedeschi per procurarsi forza lavoro da mandare in Germania, ma questo è il vero rastrellamento in grande: impiega 1500 uomini e 200 automezzi.
3 marzo 1944 ore 11,04 – Bombardamenti. Rifugio antiaereo
Dopo lo sbarco degli alleati ad Anzio del 22 gennaio e la tenace difesa dell’esercito tedesco sulla testa di ponte di Anzio-Nettuno e a Cassino, gli alleati fanno partire dal cielo l’operazione Strangle (strangolamento). Si tratta di continui bombardamenti che mirano a spezzare le principali vie di comunicazione stradali e ferroviarie, per “strangolare” la Wehrmacht e aiutare l’offensiva che sarebbe stata lanciata verso Roma. Le bombe ricominciano così a cadere intense su Roma il 3 marzo, dalle 11,04 alle 12,37. Alla fine di quell’unica giornata si contano 600 morti e 10000 senza tetto. I bombardamenti si susseguiranno poi quasi ogni giorno per settimane e mesi: il suono delle sirene e la conseguente fuga nei rifugi antiaerei, disseminati un po’ ovunque nella città, entreranno a far parte della quotidianità dei romani.
23 marzo 1944 ore 15.52 – Via Rasella
Alle 15.52 viene fatto esplodere a via Rasella 155, davanti a Palazzo Tittoni, da Rosario Bentivegna un carretto da netturbino carico di tritolo. L’esplosione causa la morte di 32 soldati del battaglione Bozen che sfilava in quel momento per la strada (il giorno dopo morirà un altro soldato). All’azione prendono parte i GAP centrali del PCI comandati da Salinari e Calamandrei. Contemporaneamente all’esplosione altri 3 partigiani attaccano il fondo della colonna lanciando bombe a mano.
24 marzo 1944 notte – Regina Coeli
Kappler, per rappresaglia all’attentato di via Rasella, su ordine diretto di Hitler, comanda l’uccisione di 335 italiani, tra partigiani, civili rastrellati a caso ed ebrei. Non riuscendo a completare la lista, ordina al questore di Roma Caruso di fornirgli 50 detenuti. Nella notte del 24 Marzo i detenuti vengono prelevati dal III braccio del carcere di Regina Coeli e trasportati su camion oscurati verso il luogo scelto per l’esecuzione, una cava di pozzolana sulla via Ardeatina.
24 marzo 1944 ore 15,30-20,00 – Eccidio delle Fosse Ardeatine
Alle 15,30 di venerdì 24 marzo 1944, l’eccidio ha inizio nelle cave della via Ardeatina. Seguendo un’organizzazione maniacale, i prigionieri, con le mani legate dietro la schiena, vengono fatti entrare in gruppi di 5 nelle gallerie delle cave. Giunti al fondo del cunicolo gli uomini sono fatti inginocchiare e vengono giustiziati con un colpo di pistola alla nuca. Alle 20 finiscono gli spari. I corpi di 335 uomini assassinati sono raccolti in due mucchi al fondo delle gallerie. Prima di abbandonare le cave i genieri tedeschi minano gli ingressi e li fanno esplodere per sigillare ogni entrata.
3 aprile 1944 prima mattina – Forte Bravetta. Don Morosini
Forte Bravetta è il luogo in cui vengono eseguite tutte le condanne a morte per fucilazione dei partigiani arrestati durante i mesi di occupazione nazista. Le esecuzioni decise dal Tribunale tedesco avvengono davanti al terrapieno nella piazza d’armi del Forte. I condannati venivano bendati, fatti sedere, con le spalle rivolte al plotone, su delle sedie fissate al terreno e fucilati alla schiena. Sempre seguendo questa procedura vengono uccisi 68 partigiani a Forte Bravetta. Il 3 aprile qui viene fucilato anche don Giuseppe Morosini, parroco e partigiano, arrestato a gennaio dai tedeschi su segnalazione di un delatore. All’alba viene condotto a Forte Bravetta, dove un plotone della PAI (Polizia dell’Africa Italiana) è incaricato di eseguire la condanna a morte. All’ordine di aprire il fuoco, dieci componenti del plotone sparano in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri due, don Morosini viene ucciso dall’ufficiale fascista che comanda l’esecuzione con due colpi di pistola alla nuca. La storia venne ripresa da Roberto Rossellini per una famosa scena del film Roma città aperta.
3 giugno 1944 ore 18.27 – Porta Maggiore
Gli alleati stanno per arrivare e i tedeschi sfilano per la città abbandonando Roma. Un carro armato Tigre in avaria viene fatto saltare in aria dai tedeschi in ritirata, che non si premurano di far allontanare i civili. L’esplosione, moltiplicata dalle numerose munizioni presenti sul carro, causa la morte di trenta persone.
4 giugno 1944 – Porta Maggiore. La liberazione
Alle 18.30 di domenica 4 giugno il 2° Battaglione dei Diavoli Neri entra a Roma da Porta Maggiore. L’arrivo degli Alleati segna la fine dell’occupazione nazista della città durata nove lunghi mesi. La cronaca vuole che il primo soldato a entrare a Roma sia l’italiano Tito Vittorio Gozzer.
16 agosto 1944 – Interno casa di Mario Fiorentini
La mattina del 16 agosto i due gappisti Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini si sposano in Piazza del Campidoglio. Lucia si è cucita l’abito da sposa con un paracadute americano, Mario pochi giorni dopo partirà per continuare la resistenza nel nord Italia. Sono molte le storie d’amore che nascono durante la lotta partigiana, quella di Fiorentini e Ottobrini è una delle più belle, durerà tutta la vita.
16 agosto 1944 – Piazza del Campidoglio